"Ottimismo disposizionale"

dott.ssa Sardi Iliana

La letteratura ci offre una serie di possibili motivi per cui le persone ottimiste hanno una qualità di vita migliore. Perciò spesso ci si chiede: ma si può imparare a diventare ottimisti? Come creare l’ottimismo? Come aumentare il bagaglio delle strategie delle persone? Queste e altre domande sono nate durante la seconda sessione di lavoro del Gruppo Nazionale SIPS per lo Studio dell’Ottimismo. Il gruppo ha riflettuto su un articolo di Carver e Scheier, una revisione della letteratura sull’ottimismo disposizionale che tratta la dicotomia ottimismo-pessimismo come dimensione unica. 

Negli anni c’è stato un passaggio da ottimismo come concetto ingenuo a costrutto scientifico, inteso come una prospettiva sugli eventi futuri. Gli studi sulla personalità hanno ipotizzato una sovrapposizione tra l’ottimismo e tratti del modello big-5 come l’amabilità e la coscienziosità, senza però riuscire ad incapsulare l’ottimismo in questo o altro modello. Invece di entrare nelle controversie che vogliono l’ottimismo come “fetta” della personalità, gli autori del presente articolo discutono sull’ottimismo in correlazione alla fiducia in se stessi, alla motivazione, alla perseveranza, alla capacità di perseguire molteplici obiettivi contemporaneamente e all’autoregolazione come fattori determinanti nel raggiungimento degli obiettivi. In generale, le persone ottimiste sono più motivate ed hanno un elevato grado di speranza di riuscire nei loro progetti; tendono ad assumere un atteggiamento di perseveranza e di persistenza; hanno l’aspettativa fondata sul raggiungimento di obiettivi complessi; vanno alla ricerca di molteplici obiettivi contemporaneamente compensando meglio la fatica;  valutano le avversità come sfide da vincere; riconoscono come e dove investire le proprie risorse auto-regolatorie. Una volta raggiunto lo scopo desiderato, aumentano il senso di efficacia personale. Le persone ottimiste tendono a riconoscere più facilmente le risorse che hanno a disposizione, a vedere il bicchiere mezzo pieno, mentre le persone pessimiste tendono a vederlo mezzo vuoto, riconoscendo maggiormente i limiti. Queste caratteristiche possono essere applicate in contesti vari come la rete sociale, l’esercizio fisico, la performance scolastica e i trattamenti terapeutici.

La rete sociale – ed in particolare le relazioni più strette come la diade coniugale o genitore-figlio – rappresenta un’area di studio relativamente nuova. Gli ottimisti dimostrano di essere capaci di risolvere i propri problemi relazionali in modo più costruttivo e di creare una rete che può offrire loro supporto sociale. Si assume però che è la percezione stessa del supporto sociale piuttosto che il supporto per sé che aiuta gli ottimisti. Grazie alla loro capacità di problem-solving con una lettura positiva e alla capacità di essere positivamente proiettati nel futuro, gli ottimisti riescono ad affrontare meglio il dolore fisico e psicologico. D’altronde le persone pessimiste mancano di fiducia in se stessi e dispongono una rete sociale povera. Sono quelle persone che si sentono impotenti, usano strategie meno sane come “catastrofizzare” e “ruminare” le quali potrebbero far nascere l’ideazione suicida. 

Una serie di ricerche provano che l’ottimismo può prevenire malattie importanti e ridurre il rischio che si sviluppino. Gli ottimisti si comportano in modo proattivo e tendono a rispondere positivamente alle avversità. Grazie a questi atteggiamenti assumono comportamenti più salutari. D’altronde, rispondendo positivamente alle avversità non stressano il proprio corpo. L’ottimismo è stato associato positivamente ad una forte risposta immunitaria e a marcatori fisiologici della salute che comprovano uno stato di salute migliore. Gli studi confermano non solo che gli ottimisti affrontano meglio la malattia ma che l’ottimismo è predittore della salute (es. malattie cardiovascolari) e un fattore protettivo (ictus). 

Quali sono le origini dell’ottimismo? La ricerca ipotizza che l’ottimismo è correlato sia alle prime esperienze apprese dalle figure genitoriali  e allo stato socioeconomico dei bambini. Altri studi, non generalizzabili o replicati, chiamano in causa il gene dell’ossitocina o l’aplotipo del gene del recettore mineralcorticoide (regolatore dello stress). In sintesi, a livello biologico non ci sono marcatori definiti.

Dal confronto dei membri del gruppo sono nate varie riflessioni e curiosità. Innanzitutto ci siamo chiesti se l’ottimismo potesse sempre essere qualcosa di positivo, come per esempio nel gioco d’azzardo, situazione in cui la confidenza e la perseveranza potrebbero provocare esiti negativi. In questo caso l’ottimismo rappresenterebbe un tratto di vulnerabilità.  Inoltre, come confermano anche gli autori, esiste la necessità di fare ricerca sulla base genetica dell’ottimismo. Infine, vi è la necessità di studiare come rendere misurabile l’ottimismo. Il gruppo continuerà il suo studio con la convinzione che l’ottimismo è un promotore non solo di benessere emotivo ma anche di salute fisica.

Traduzione dell'articolo di: Carver, C. S., & Scheier, M. F. (2014). Dispositional optimism. Trends in cognitive sciences, 18(6), 293-299.

Iliana Sardi - membro del Gruppo Nazionale per lo Studio dell'Ottimismo